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Saluti & Bici - Giretto 6 - "Etica e sgombro"

si ringraziano l'autore di testi e foto  Alberto Graziani e il Giornale di Vicenza per la gentile concessione del materiale

Partiamo per questo nuovo giretto puntando verso Ovest e con la mente ingombra: esiste un super-eroe in bicicletta o della bici? Il miliardario Bruce Weber, in arte Batman, usa l’automobile anzi la bat-mobile. L’Uomo Ragno salta da un tetto all’altro, Superman e Wonder Woman volano come jet mentre Hulk è sempre appiedato. In bicicletta non ci vanno neppure i Fantastici 4, cioè la Torcia Umana, l’Uomo Elastico, la Donna Campana Magnetica e La Cosa. Forse bisogna scendere di un gradino: dall’Ubermensch al Mensch. La bicicletta è più eroica che super-eroica. Coppi e Bartali, Pantani e Indurain. Non vedevano attraverso i muri e sudavano come buoi, ma facevano sognare, eccome.
Accanto alla bici sacrificale c’è poi la bici sentimentale: quella su cui fuggono Delia Scala e Silvana Pampanini in “Bellezze in bicicletta” del 1951. La canzone omonima, colonna sonora del film, ebbe un successo strepitoso:
“Ma dove vai bellezza in bicicletta/così di fretta pedalando con ardor?/Le gambe snelle tornite e belle/m'hanno già messo la passione dentro al cuor! “
Musica di Giovanni D’Anzi e parole di Marcello Marchesi, tanto per chiarire. Anche Riccardo Cocciante si fa imbambolare dal potere sentimentale della bici e canta : “Passeggiando in bicicletta accanto a te/pedalare senza fretta la domenica mattina...” (In bicicletta, 1982). La bicicletta è libertà, improvvisazione, spensieratezza: almeno finché non si buca. Ma è tempo di andare, troppe chiacchiere e ancora nessuna pedalata. A Ovest si era detto e a Ovest ci dirigiamo lungo corso San Felice e sempre avanti per viale Verona e viale San Lazzaro. Tra i tanti corridoi d’ingresso alla città, credo che questo meriti la palma del più brutto e del più anonimo. Arrivando da Padova presentano il loro bigliettino da visita gli alberi di Villa Tacchi, arrivando da Thiene e Schio porgono la chioma i grandi platani, da Bassano presiede il comitato di accoglienza il parco e la villa Trissino a Cricoli, da Treviso si entra passando in rassegna le truppe alberate della Postumia, da Noventa il Bacchiglione fa un inchino e l’arco di Porta Monte accompagna in salotto. L’ingresso da Verona è invece polveroso e trasandato, fatto di tante parti scollegate e scaraventate a bordo strada da un piano regolatore in fuga. Anche le due grosse strutture alberghiere di recente edificazione paiono essersi adattate - con poco sforzo per la verità - al grigiore generale. Più avanti, nei pressi della rotatoria dei Pomari spicca dall’asfalto come una fatamorgana una nobile fabbrica di classica reminescenza, talmente fuori luogo poverina che corre il rischio di essere inclusa nel penoso catalogo del post-moderno. Passiamo sotto la tangenziale a Ponte Alto e finalmente tra tanta pasticceria edilizia, si scorge qualcosa di architettonico. E’ un complesso ben disegnato e ordinato. So che è oggetto di un’annosa vertenza giudiziaria, credo per via di un mancato rispetto della distanza dalla roggia Dioma. Non voglio metter pezza in faccende che non mi riguardano, però, Ponte Alto non è Firenze e la Dioma non è l’Arno. Né credo che l’edificio abbia comportato degli sconquassi idrogeologici tali che la roggia possa un giorno alluvionare l’intera città. Purtroppo siamo in un paese draconiano con i centimetri e deamicisiano con i metri. Anche i progettisti avrebbero bisogno di un super-eroe, Archiman ad esempio. Una ventina di metri dopo il viadotto, prendiamo a destra per via Vecchia Ferriera, facendo attenzione ai bolidi che scendono rapinosi la rampa della tangenziale per immettersi sulla statale. A destra ci sono le fitte inferriate del Centro Orafo che pare una filiale del Pentagono e dirimpetto un paio di locali pruriginosi dove si esibiscono signorine senza evidenti problemi di artrite. Due mondi che si guardano e che spesso si frequentano. Noi ciclonauti apparteniamo alla terra di nessuno e non avendo né i soldi che stanno di là, né le grazie che stanno di qua, ci accontentiamo del nostro fedele velocipede e della buona salute. Seguendo docilmente la via, sbuchiamo su strada della Carpaneda e prendiamo a destra remigando nell’aperta campagna. Sospese nel verde vecchie case contadine vengono incontro come lenti pescherecci. Poi ci pensa la solita pianta di cachi a rovinare la trasposizione agro-marina e quindi si procede a testa bassa tra cassonetti azzurri che cercano di fondersi con il cielo e silos cerealicoli che sembrano cisterne di ossigeno di una base marziana. Passato l’incrocio con la nuova arteria di alleggerimento che dovrebbe portare il traffico fuori da Creazzo verso il Biron, ma che è sempre deserta come una pista di formula uno il lunedì, prima di arrivare in paese si passa davanti al cimitero, il golf a nove buche e la pista di bicicross, dove un ciclista-fantoccio sospeso in aria spaventa passeriformi e umaniformi. Si prosegue sempre diritti per il generoso pezzo di ciclopista che, alle spalle del municipio, si svolge fino al ponticello di via Spino sul torrente Valdiezza e poi in dirittura di Sovizzo, proprio dove ce ne sarebbe più bisogno, bruscamente si interrompe. Non si capisce, sulle strade residenziali in cui le macchine vanno piano le piste ciclabili non mancano mai; sulle intercomunali dove si va a novanta, manco l’ombra. Questioni di campanile? Miopia istituzionale, conflitto o casino di competenze? La risposta la conosciamo: Italia. L’ingresso a Sovizzo è piramidale, nel senso che è segnato dai solidi aguzzi che coronano un mobilificio e il cappello da Pinocchio dello smilzo e chilometrico campanile che si annuncia almeno da Ponte Alto. L’Egitto, di alto, basso o medio impero che sia, continua poi all’ingresso principale di Villa Curti, tardo Cinquecento, con un paio di sfingi che sorvegliano la cancellata. L’ala sinistra della villa merita una visita. Vi si trovano il salone Egizio, il salone dei Palazzi e il salone delle Corazze, oltre che delle copie lignee dei cavalli di San Marco a Venezia. Anche il parco ha la sua geriatria vegetale: un pino nero, un tasso e un olmo ultracentenari e un plurisecolare platano alto 33 metri. Ma non ditelo in giro che poi ci piazzano un’antenna per i cellulari. Svoltiamo a destra seguendo il muro di cinta della villa e proseguiamo in direzione sud-ovest verso Montecchio, lasciando alle spalle le ultime case di Sovizzo. Un pezzetto di pista ciclabile ci conduce quasi alle spalle di villa Cordellina-Lombardi, la White House di rappresentanza dell’Ente Provinciale. Ancora qualche pedalata e si sbuca a Montecchio vicino alla bella facciata della chiesa di San Pietro e le rigide forme anni’60 di un cinemone di paese. Siamo al culmine della parabola, ci sarebbe da salire alle rocche scaligere di Giulietta e Romeo ma l’anima contemplativa ha il sopravvento su quella attiva e ci si accontenta di una vista dal basso. Magari un’altra volta, ma in Vespa. Il tempo di un caffé sorbito davanti a un barista curioso che non smette di fissarci come avessimo due paia d’orecchi e puntiamo il fanale della bici in direzione di Tavernelle. Sarebbe una strada piacevole, non fosse per le auto e gli autocarri che offrono la ceretta gratis sul lato sinistro del corpo. Così si è costretti a godersi il prospetto di Villa Cordellina che se ne corre via sulla sinistra con un occhio alla strada e l’altro al paesaggio. Poco più avanti s’incontra la vela architettonica che ospita gli uffici dell’industria Lovara, firmata da un Renzo Piano quasi a inizio carriera. Dopodiché all’incrocio con la statale Padana 11 il  traffico sommerge ogni cosa in un diluvio di lamiera e scappamenti. Sono i famigerati semafori con licenza di fotografare, quelli che hanno mietuto migliaia e migliaia di multe. Se il ponte sullo Stretto fosse ancora nei programmi governativi, con il relativo introito il comune di Altavilla potrebbe diventarne socio di maggioranza. La polizia municipale afferma di applicare soltanto la legge. Solo che c’è di mezzo una perversione tecnologica e telematica, un automatismo cieco e sanzionatorio che non valuta il caso particolare. Come non esiste una bomba atomica che ammazzi soltanto gli individui col toupet, analogamente si comportano questi congegni di sorveglianza: dalla distruzione alla contravvenzione di massa. Lasciamo Tavernelle percorrendo un pezzettino di statale e appena la strada è sgombra viriamo a sinistra dentro la zona industriale. Scrive Didier Tronchet nel suo “Piccolo trattato di ciclosofia” (Edizioni Net, 2004) che “la bicicletta è antinomica all'idea di violenza" e che il ciclista è circondato da un’aura di bonarietà, tranquillità e gioia di vivere. Mi sono tornate in mente queste parole su uno dei tanti sfondi del più tetro e squallido dramma della contemporaneità. Forse qualcuno potrà trovare del pittoresco nelle prostitute che approdano dall’Est e il Sud del mondo nel tratto di statale tra Tavernelle e Creazzo. Qualcun’altro vi vedrà materiale degno di studi antropologici, criminologici, epidemiologici. Il solito mona liquiderà in saldo la coscienza dicendo che è il mestiere più vecchio del mondo. Migliaia di persone non vi trovano nulla di strano: ci sono e ci vanno, in automobile. In bicicletta no, ma non per un fatto apparente di scomodità. La bicicletta è morale e moralizzatrice: non si va a puttane in bicicletta, non si rapina una banca in bici, non si aggredisce un passante, non si fanno scippi. In bici si va dalla morosa, al lavoro e a trovare la mamma. Sì lo so, è una predica goffa e bruciacchiata e probabilmente Hitler ha concepito l’Olocausto durante un giretto in bici per Monaco. Ma questo non ci vieta di immaginare un mondo senza odiose schiavitù e sordidi commerci. Non è che ci voglia poi molto, basta colpire la domanda come da anni chiede Don Benzi alle istituzioni. Se quelle di Altavilla, tanto per dire spostassero il mirino dagli automobilisti che vanno a lavorare a quelli che vanno a lucciole, riscuoterebbero certo maggior popolarità a parità di incasso. Ma noi siamo dei modesti cicloamatori e modesti sono i nostri suggerimenti. Intanto abbandoniamo la zona di industrie e capannoni scivolando giù per via Spino, incontrata di sfuggita andando verso Sovizzo. Tre imponenti tralicci ci salutano marziali. In città, nel quartiere di San Pio X ce n’è uno di simile, ma più piccolino, in fondo a via Tornieri. Si frequentava le medie e i pomeriggi dalle cinque alle sei si andava in parrocchia all’ACR, Azione Cattolica Ragazzi. C’erano gli animatori. Gianni, che fumava le Marlboro, guidava la Golf, portava i Rayban e a modo suo ci spiegava i dieci comandamenti. Franco e Francesca che erano morosi. Fulvio che ci terrorizzava con la sua storia del servizio militare. Don Franco arrivava alla fine fumando le N80, pacchetto bianco con strisce azzurre verticali. Appena usciti dall’ACR, noi ragazzini si trasformava l’azione da cattolica in teppistica. E’ il cortocircuito continuo di cui soffrono gli adolescenti: un’ora chierichetti e l’ora dopo satanassi. Per fortuna allora i mass-media si occupavano di altro. Non che si facesse gran cose, per carità. Qualcuno aveva messo in giro la voce che dando dei gran calci ai lampioni di cemento prefabbricato si arrivasse a spegnerne le lampade per effetto della vibrazione. La mia generazione si è rovinata le rotule inseguendo la leggenda. Nel quarto d’ora del ritorno a casa dall’ACR scattava l’istinto ribelle e anarchico. Enrico, il più pazzo del manicomio, una sera che decidemmo di scalare il traliccio dell’Enel in fondo a via Tornieri, fece sul serio e si arrampicò quasi fino ai cavi. Noi vigliacconi ci fermammo dopo un paio di metri e tornammo giù. Una macchina si fermò, illuminandoci alla base del pilone. Era il padre di Enrico, un tipo tosto, di quelli che menano. Ci chiese se avevamo visto Enrico, e Enrico osservava la scena appollaiato a una quindicina di metri. Gli dicemmo che era appena andato a casa e probabilmente lo salvammo da un infarto. I padri che menano, si sa, sono i più emotivi. Ma siamo nel frattempo ritornati a Creazzo, anzi siamo già lungo il viale piopputo della strada del Biron. Rientrare è sempre più faticoso che uscire e meno male, altrimenti non metteremmo più il naso fuori di casa. Arrivati all’incrocio viale del Sole-via Granatieri di Sardegna, rimane giusto il tempo per confrontare l’aldilà delle casette di mattoni del Villaggio della Produttività e l’aldiquà del biscione cementizio che sovrasta il viale. I due mondi hanno un collegamento sotterraneo, un sottopasso stradale con mosaichetto, scritte spray e perenne odore di urina. Chi ha le fisime del provincialismo venga qui che pare di essere a Milano, in pieno viale Monza. E ora a casa a preparare il pranzo. Finocchi lessi e filetti di sgombro in scatola da 125 gr. conditi con olio, pepe e una generosa grattuggiata di scorza di limone. Sappiatemi dire.  

 
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