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Saluti & Bici - Giretto 10 - "L'invasione degli ultranani"

si ringraziano l'autore di testi e foto  Alberto Graziani e il Giornale di Vicenza per la gentile concessione del materiale


Sarà che è l’ultimo giretto, che l’inverno preme il naso contro la finestra, che la Juve è in serie B, che Pippo Baudo presenta per la miliardesima volta Sanremo, sarà per tutto questo e altro, ma stamattina anche la bicicletta pare avere perso ogni potere taumaturgico. Depressogeno anche in una squillante giornata di giugno, Campo Marzo con gli alberini tremanti e la nebbiolina a mezz’aria è quasi un’istigazione al suicidio. Comunque potrebbe andare peggio, potrebbe anche piovere (citazione di “Frankenstein Junior”, Mel Brooks, 1974). E infatti. Ci vorrebbe una storia da raccontare, qualcosa di insolito che faccia volare il tempo e ci porti inavvertitamente lontano dal traffico. L’automobile volante che piomba in contro mano all’inizio di viale Fusinato regala un piccolo sussulto, ma è solo un cartellone pubblicitario collocato in una posizione discutibile. “Passa una gondola della città: ehi della gondola, qual novità?-Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca!”. Il patriota Fusinato, l’uomo del viale, è l’autore dell’“Ultima ora di Venezia”, antesignana delle concitate corrispondenze di guerra dei telegiornalisti. Era di Schio, poi visse a Firenze e a Roma dove divenne popolare più per le satire che la maestria dei suoi versi. Fosse vissuto ai nostri tempi sarebbe stato una specie di Giorgio Faletti, il comico-cantante-romanziere che faceva ridere con Vito Catozzo, emozionava le folle sanremesi con “Minchia signor Tenente” e ora intrattiene schiere di lettori con corposi serial-thriller. Scivolati oltre la chiesa di San Giorgio, merita l’attenzione e anche una foto la vetrina dell’Alimentari F.lli Galvan, pressoché l’ultimo “casolino” rimasto nell’intera città di Vicenza. 
Prima ancora che Manuela Di Centa svelasse agli italiani l’esistenza della Carnia, i Galvan già vendevano nel loro negozio il prosciutto di Sauris. Pagano lo scotto del decentramento, ma va bene così visto la fine che hanno fatto gli illustri alimentaristi del centro. Andateci a fare la spesa, tanto alla macchina ci siete abituati e soprattutto non dovete affrontare il pesante stress da ipermercato.
Abbandoniamo viale Fusinato, buttandoci a sinistra dentro strada di Gogna. Un tempo il primo pezzetto era la Beverly Hills vicentina, con ville e villoni sommersi nel verde. Ora si respira un’aria di disarmo e di parziale riconversione verso più vantaggiose soluzioni edilizie, solite casette a schiera o in aderenza. La zona di Gogna è comunque l’isolamento nell’isolamento: il Retrone la taglia fuori dal quartiere dei Ferrovieri e le muraglie dei colli le chiudono ogni via di scampo. Per chi vi abita, c’è solo da restarci. Per chi vi transita, solo di andare. Non c’è niente, un bar, una trattoria, una chiesetta che tenti di trattenervi. Eppure è assai frequentata. Come capita a tutte le zone che patiscono una certa solitudine, in Gogna arrivano a frotte fidanzatini in delirio amoroso, passeggiatori salutisti, arrampicatori, gruppi di giovinastri e compagni di Baal che si smistano per valli e valloncelli a seconda dell’hobby preferito. E qui, la vista dei spaventapasseri in rotoli di alluminio ci regala infine la storia da raccontare.
Quella del 1996 fu a Vicenza un’estate particolare. Prima accadde il fatto del laser fantasma. Una domestica che sbrigava il suo lavoro in una casa del centro avvertì uno strano ronzio venire dal soggiorno. Vide un raggio azzurro che dalla finestra andava a posarsi su un tavolo di cristallo. La donna non si perse d’animo, corse ad abbassare la tapparella e il raggio svanì. Il tavolo però era tagliato in due. A parere degli ufologi era il tipico caso di laser fantasma sparato da un disco volante. Gli studiosi citavano due episodi analoghi: il raggio che ha fuso la maniglia della porta del bagno di un medico e l’altro che ha colpito un pero facendolo fiorire fuori stagione. E’ confortante sapere che nell’universo esistono intelligenze del tutto cretine. Una settimana dopo il laser fantasma è la volta dei nani volanti. Il 22 luglio 1996, alle ore 22.30, due giovani vicentini, un programmatore informatico e la fidanzata, vivono sulle colline di Gogna un'esperienza allucinante. Mentre sono intenti a guardare le stelle, all’improvviso tutti gli animali fuggono via come schegge. Scende un silenzio innaturale, subito rotto da un gracidio metallico. Nel boschetto la ragazza scorge un essere di bassa statura e dal corpo giallo e lucente che li sta osservando. I due fanno per scappare terrorizzati, ma un’altra creatura sbuca dall’oscurità alle loro spalle e arriva fluttuando velocissima a pochi centimetri da loro, fissandoli con due enormi occhi rossi. Il programmatore si getta sulla fidanzata per proteggerla. La creatura fa un balzo all’indietro e si raggomitola ai margini del bosco. A questo punto i due ragazzi raccontano di essere fuggiti, raggiungendo subito la macchina lasciata ai piedi della collina. Pensavano che tutto fosse durato non più di cinque minuti. Invece i loro orologi segnavano che era trascorsa almeno una mezz’ora. Cosa sia successo in quell’arco di tempo non lo sanno e non vorranno mai saperlo, si immagina. La letteratura ufologica inquadra il fenomeno nella tipologia dei “nani volanti”, per quanto ancora di controversa classificazione. Non si sa bene infatti se siano creature aliene o robot umanoidi, e soprattutto che gusto ci provano a girare di notte per spaventare i morosi. Pare anche che incontrarli non sia così difficile. Il materiale raccolto dagli ufologi anche qui non manca: quello di alcuni pescatori marchigiani che hanno visto schizzare in cielo un nano dai piedi enormi che stava seduto su di uno scoglio a forma di trono; la storia del poliziotto che ne ha visto un altro volare tra le cime degli alberi. E ancora la vicenda della professoressa affrontata sull’uscio di casa da un creatura sospesa a mezz’aria con occhi lucidi, guantoni grigi e un passamontagna. Il perfetto identikit di un alunno bocciato. Invenzioni, balle, allucinazioni, suggestioni o realtà? Posando lo sguardo sul morbido profilo dei colli, pare impossibile che un paesaggio così dolce possa albergare fenomeni così terrifici. 
Mettiamola così, alla storia dei fidanzati io non ci credo: in modalità diurna. Ma se dovessi trovarmi da queste parti al calar della sera, scapperei a gambe levate prima ancora che il nano volante metta il becco fuori dalla tana. E ora riprendiamo il nostro giretto, che poi non ha bisogno di tante indicazioni, basta seguire la strada. Passata un’ancona dedicata alla Madonna si tiene la sinistra  e si prosegue fino al cartello che indica il canile municipale. Qui si piega ancora a sinistra lungo l’ultimo tratto rettilineo che conduce ai piedi dei colli. In fondo si può assistere in scala reale all’evoluzione dell’architettura rurale a partire dall’Ottocento. Un quadro sinottico che ospita la casetta autarchica a un piano dei bisnonni contadini, il rustico accorpato alla stalla dei nonni agricoltori-allevatori, il caseggiato residenziale dei padri al fronte e i figli operai e infine il ciclo si chiude con la moderna villetta di nipoti e i bis-nipoti, un solo piano come quella dei bisnonni. Ora inizia il bello. La strada perde l’asfalto e diventa una mulattiera sassosa che s’inoltra nel bosco. Pedalare è arduo, è un terreno adatto per le corazzate e ammortizzate bici da montagna e da sterrati. Io mi fermo, ho paura che si stacchino le protesi dei due incisivi superiori. Va bene anche così, spingere e trascinare la bici per una salita inclemente e accidentata consente di gustarsi il paesaggio con più relax. Inoltre può anche considerarsi un test da sforzo senza ticket da pagare. Dai muri di recinzione di un paio di invisibili dimore spiccano degli eloquenti cartelli all’insegna dell’ospitalità. Avvisano, se non altro, che il supplizio è quasi alla fine e, infatti, al primo incrocio prendiamo a destra e sbuchiamo sulla Dorsale dei Berici poco prima della “esse”. Finalmente, anche se in prima, si può tornare a pedalare e filiamo lungo il rettilineo dove un tempo si affacciava il bar della Pergoletta, ora residenza privata. La chiusura del bar è stata una tragedia, soprattutto per gli estimatori del tost. I tost della Pergoletta erano infatti i migliori del mondo. Non era un fatto di ingredienti, che facilmente erano gli stessi in uso in qualsiasi altro locale, fontina nucleare, fosfato di prosciutto cotto e pan carré subliminale. Il tost, a prima vista semplice e stupido è invece una delle cose più difficili. Provate a ordinarlo in giro: spesso il formaggio è magma incandescente, il prosciutto è permafrost e il pane sembra fuggito troppo tardi da Pompei. Oppure il prosciutto è vicino alla fissione, la fontina è marmorea e il pane ha l’ittero. Il segreto è che il vero chef del tost non è umano: è il tostapane. Quello della Pergoletta era un magnifico elettrodomestico cromato degli anni ‘50. Quindi di grande esperienza. Dal suo grembo uscivano tost divini e insuperabili, dove prosciutto, fontina e pane formavano un solo e indivisibile ente, il principio e la fine, la ragione di ogni cosa, il motore della realtà. Ecco, se potessi tornare indietro nel tempo non andrei a rimediare i disastri combinati o le scelte sbagliate. Andrei alla Pergoletta a farmi un tost. La Dorsale dei Berici è stupenda, soprattutto in discesa. Superata la chiesetta di Santa Margherita intenta a chiacchierare con una coppia di cipressi, ci fermiamo un momento davanti al parco di villa Colonnese, dove sono in costruzione le bianche casette di Alvaro Siza. C’è stata grande polemica intorno al progetto, per prima cosa sull’opportunità di costruire sui colli e per seconda sull’opportunità di costruire a quel modo. Nessun giudizio sul maestro portoghese, ma non è che questi architetti internazionali con studi a Milano, New York e nel Dubai, alla fine si confondano un poco? Queste casette zuccherine meriterebbero un affaccio almeno sul golfo del Tigullo e non sulla zona industriale di Vicenza. E le persone che andranno ad abitarvi, potranno mai mangiare polenta e cotechino senza vertigini in un’architettura all’olio d’oliva? Restando in ambiti critici, al termine della discesona è adagiata sul fianco del colle la scamozziana villa Franceschini-Pasini-Salasco (1776) dove si assiste in embrione al lento viraggio dal neoclassico al neostorico (ma c’è lo zampone successivo del Caregaro Negrin). Il risultato maturo del fenomeno si coglie poco più avanti all’ingresso del primo abitato di Arcugnano, incontrando l’ottocentesca villa Montanari. La facciata tradisce la pesantezza di un linguaggio storico ormai sfarinato e scollegato dalla radice classica. Siamo al cliché, alla ripetizione spenta, per quanto virtuosa, di orizzonti palladiani persi nella nebbia dei secoli. Qualche tempo dopo scoppierà la sarabanda degli stili, l’eclettismo che frulla insieme Etruria ed Egitto, romanico e normanno, rinascenza e barocco. Dopo una breve pausa sul sagrato panoramico della chiesa di Santa Giustina di Arcugnano, prendiamo a sinistra la “militare” o strada del Tormeno che piomba giù nella frazione di Torri, cui passati e recentissimi interventi edilizi hanno conferito una fisionomia metropolitana in un contesto rurale. Il risultato è all’insegna dello spaesamento. La nuova piazza segnata dal panettone ottagonale e l’anacronistica quinta di casette paiono tratte dal “Truman Show”, film dove il protagonista vive a sua insaputa in una colossale messinscena. Che farci? Se il filosofo Francis Fukuyama ha decretato la fine della Storia, bisogna prendere atto anche della fine dello Spazio e del Tempo classicamente intesi. Ovvero dobbiamo sempre più adattarci a vivere una condizione di eterno presente in spazi che non ci appartengono. Avanguardia e tradizione sono ormai categorie da modernariato. O forse non ancora, non del tutto. Sulla strada di Longare la fulminate allegoria di un giardinetto privato da cui spiccano una parabola e un bucato steso al sole ci suggerisce che il presente non è affatto immobile ma continua a divertirsi sull’altalena tra passato e futuro. E lo conferma anche il cagnone che se ne va solo per la ciclabile, procedendo ligio ai regolamenti. I giretti sono finiti, questo era l’ultimo. A chi ci ha seguito fedele fino a qui esprimiamo la nostra riconoscenza, a chi ci ha seguito per un po’ e poi s’è stufato, il nostro rammarico per non averlo saputo interessare. Se ve ne saranno ancora, cercheremo di fare meglio. Arrivederbici.

 
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